Intervista al cantore dello sport che porta il suo nuovo monologo "A Night in Kinshasa" in anteprima al Bellini di Casalbuttano

Più che un incontro di pugilato, quello che vide opposti il campione del mondo George Foreman e il suo avversario (Muhammad Ali) sul ring di Kinshasa rappresenta una delle pagine più significative che la storia dello sport internazionale ricordi. «Sono passati oltre quarant’anni da quel giorno, eppure ogni minuto di quel match è ancora impresso nella memoria degli appassionati di boxe», commenta Federico Buffa - volto televisivo di Sky fra i più conosciuti -, oggi interprete de A night in Kinshasa - Muhammad Ali vs. George Foreman, in programma domani sera (ore 21) presso il teatro “Bellini” di Casalbuttano nell’ambito della stagione di Prosa 2017/2018. Un’anteprima imperdibile che, dopo l’enorme successo riscosso nelle settimane passate in occasione del “Festival della Bellezza” di Verona, sarà rappresentato - dall’11 al 15 ottobre prossimi - anche negli spazi del teatro “Carcano” di Milano.
Perché il 30 ottobre 1974 simboleggia una data storica, in tema di sport?
«Perché a incrociare i guantoni non furono solamente due atleti eccezionali, bensì due interpreti di uno stile di vita - o meglio di una cultura - quanto di più differente: da una parte vi era George Foreman, simbolo dei bianchi americani, dall’altra Muhammad Ali, ovvero l’archetipo del nero che siede all’opposizione. Ali partiva già sconfitto: aveva compiuto 32 anni, la sua mente - come ben sottolinea anche il regista Michael Mann nell’ottimo “Ali” - era distratta dalle problematiche causategli sia dalla moglie che dell’amante. Ciò che egli compì fu un autentico capolavoro: mise al tappeto Foreman giocando di psicologia. Lo innervosì prima dell’incontro, lo umiliò verbalmente, ne mise a nudo le debolezze e, alla fine, lo batté sovvertendo ogni pronostico».
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Perché il 30 ottobre 1974 simboleggia una data storica, in tema di sport?
«Perché a incrociare i guantoni non furono solamente due atleti eccezionali, bensì due interpreti di uno stile di vita - o meglio di una cultura - quanto di più differente: da una parte vi era George Foreman, simbolo dei bianchi americani, dall’altra Muhammad Ali, ovvero l’archetipo del nero che siede all’opposizione. Ali partiva già sconfitto: aveva compiuto 32 anni, la sua mente - come ben sottolinea anche il regista Michael Mann nell’ottimo “Ali” - era distratta dalle problematiche causategli sia dalla moglie che dell’amante. Ciò che egli compì fu un autentico capolavoro: mise al tappeto Foreman giocando di psicologia. Lo innervosì prima dell’incontro, lo umiliò verbalmente, ne mise a nudo le debolezze e, alla fine, lo batté sovvertendo ogni pronostico».
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00:00|October 4, 2017
Fabio Canesi